9:00 - 19:00
I nostri orari di apertura lun. - ven.

+39 0825 1887129
Chiamaci per una consulenza gratuita

Licenziamento per superamento del cosiddetto periodo di comporto: Obbligo di correttezza del datore di lavoro e rapporti con la normativa emergenziale “COVID-19”.

Studio legale avvocato Sabrina Mautone > Lavoro Previdenza  > Licenziamento per superamento del cosiddetto periodo di comporto: Obbligo di correttezza del datore di lavoro e rapporti con la normativa emergenziale “COVID-19”.

Licenziamento per superamento del cosiddetto periodo di comporto: Obbligo di correttezza del datore di lavoro e rapporti con la normativa emergenziale “COVID-19”.

Risulta illegittimo il comportamento del Datore di Lavoro che computa ai fini della risoluzione del rapporto i giorni di malattia correlati al periodo di inidoneità temporanea indotti dal Medico Competente relativamente alla situazione emergenziale COVID 2019.

E nella specie: l’art. 26 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 come modificato dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 al comma 1 dispone espressamente che il periodo di quarantena non è da computare ai fini del comporto ovvero del limite massimo stabilito dai contratti per il diritto alla conservazione del posto di lavoro.

Nella specie la norma de qua reca come il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva di cui all’articolo 1, comma 2, lettere h) e  i)  del  decreto-legge  23 febbraio 2020, n. 6, (convertito, con modificazioni, dalla  legge  5 marzo 2020, n. 13, e di cui all’articolo 1, comma 2,  lettere  d)  ed e),  del  decreto-legge  25  marzo  2020,  n.  19,) dai lavoratori (dipendenti) del settore privato, è equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento  e non è computabile ai fini del periodo di comporto. Alla riferita normativa è seguito il successivo articolo Art. 74 comma 2 D.L. 19.5.2020 n. 34.  Lo stesso dispone: “Modifiche all’articolo 26 in materia  di  tutela  del  periodo  di sorveglianza attiva dei lavoratori del settore privato

“1. All’articolo 26 del decreto-legge 17 marzo, n.  18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, sono apportate le seguenti modificazioni:  

  1. a) al comma 2, le parole “fino al 30 aprile 2020” sono sostituite dalle seguenti: “fino al 31 luglio 2020”.

L’art. del DL 17 marzo 2020 n. 18, successivamente convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27 (cd Cura Italia) ha espressamente stabilito che il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva sia equiparato a malattia, ma non sia computabile nel periodo di comporto. L’art. 87 del medesimo DL allo stesso modo stabilisce che il periodo trascorso in malattia o in quarantena con sorveglianza attiva, o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva dovuta al COVID-19 dai dipendenti delle amministrazioni di cui all’ art.1 comma 2 del dlgs 30 marzo 2001, n.165, e’ equiparato al periodo di ricovero ospedaliero e non è computabile ai fini del periodo di comporto.

Opera quindi in contrasto con la normativa quivi richiamata il datore di lavoro che inserisce tali periodi nel calcolo del computo del periodo di comporto.

 

Ulteriormente, sempre in ordine al comportamento tenuto dal datore di lavoro, si mette in evidenza come in caso di patologie così gravi e tali da impedire al lavoratore di adempiere l’obbligo di attivarsi per chiedere informazioni sull’approssimarsi del periodo di comporto, deve agire conformemente ai principi civilistici di correttezza e buona fede ex art. 1175 c.c. e ai più generali principi di solidarietà sociale ex art. 2 Cost.

In altre parole, generalmente non vi è l’obbligo per il datore di comunicare l’avvicinarsi della scadenza del comporto al lavoratore malato, ma, come spiegato dai giudici di merito, “vi sono delle fattispecie particolarmente gravi, in cui la comunicazione datoriale è sicuramente meno gravosa rispetto al dovere di attivarsi per chiedere informazioni da parte del lavoratore gravemente malato”.

In ipotesi del genere, il comportamento del datore, che omette di avvisare il dipendente dell’avvicinarsi del superamento del comporto, costituisce una discriminazione indiretta (intesa come qualsiasi disposizione, criterio, comportamento apparentemente neutri – in quanto applicati formalmente a tutti i dipendenti – che possono mettere alcune persone in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre).

La ricorrente impugna quindi il licenziamento operato ai suoi danni, affetto da nullità ed illegittimità per discriminazione indiretta e violazione degli obblighi di buona fede e correttezza: la mancata preventiva comunicazione dell’imminente scadenza del periodo di conservazione del posto di lavoro gli ha precluso la conseguente possibilità di fruire degli istituti di aspettativa regolamentati dal contratto collettivo nazionale.

La mancata comunicazione della scadenza del periodo di comporto, ancorché non obbligatoria per legge, ha precluso alla ricorrente di presentare richiesta di aspettativa prima del licenziamento, configurando una violazione del principio di buona fede e correttezza, nonché del principio di solidarietà ex articolo 2 Costituzione.

Alla luce di tutto ciò, può concludersi che il licenziamento è configurabile come discriminatorio in relazione alla posizione del lavoratore che versa in una condizione di “minorata difesa”.

Richiamato, infatti, il Decreto Legislativo 9 luglio 2003 n. 216 di attuazione direttiva 2000/78/CE in tema di discriminazione diretta e indiretta, può ritenersi che la mancata preventiva comunicazione di scadenza del periodo di comporto configura, proprio per la gravità dell’invalidità del lavoratore, una situazione oggettiva di svantaggio.

Il licenziamento intimato, pertanto, è da considerarsi discriminatorio e, quindi, nullo.